La revoca della patente di guida da parte del Prefetto, ai sensi dell'art. 120 del Codice della Strada, non costituisce una sanzione accessoria alla pena inflitta per un reato, ma rappresenta l'accertamento dell'insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti morali prescritti per il conseguimento e il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida. Pertanto, la relativa controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto attiene a un diritto soggettivo perfetto del privato, e non nella giurisdizione del giudice amministrativo. Il provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, essendo vincolato all'accertamento della sussistenza dei presupposti normativi, non richiede una valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione, ma si configura come un atto dovuto, la cui legittimità è sindacabile dal giudice ordinario. Ciò in quanto la posizione giuridica del titolare della patente di guida, essendo riconducibile alla previsione costituzionale dell'art. 4, comma 2, deve essere qualificata in termini di diritto soggettivo perfetto, e non di interesse legittimo. La revoca della patente di guida, pertanto, non può essere disposta in base alla mera commissione di un reato, ma richiede una valutazione della permanenza dei requisiti morali in capo al privato al momento dell'adozione del provvedimento, a prescindere dalla data di commissione del fatto. Conseguentemente, la revoca della patente di guida non può trovare applicazione retroattiva, ma deve essere valutata con riferimento alla situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento, senza che rilevi la data di commissione del reato o di passaggio in giudicato della relativa sentenza di condanna.