Il giudizio di compatibilità ambientale di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità tecnica dell'amministrazione competente, che deve bilanciare la molteplicità di interessi pubblici e privati in gioco, tra cui lo sviluppo economico-sociale, la tutela dell'ambiente, del paesaggio e del territorio. Il sindacato giurisdizionale su tale valutazione è limitato ai soli casi di palese erroneità, travisamento dei fatti o illogicità manifesta, non potendosi sostituire la valutazione del giudice a quella dell'amministrazione, la quale gode di un ampio margine di apprezzamento tecnico-discrezionale. Pertanto, il mero dissenso dell'interessato rispetto alle scelte operate dall'amministrazione in merito alle misure di mitigazione e compensazione degli impatti ambientali, ai rischi di inondazione, agli impatti odorigeni e acustici, nonché alla localizzazione dell'impianto, non è sufficiente a inficiare la legittimità del provvedimento di diniego della valutazione di impatto ambientale, ove tale provvedimento risulti adeguatamente motivato e non affetto da vizi di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. Inoltre, il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, pur costituendo un interesse rilevante, non può ritenersi prevalente e assorbente rispetto agli altri interessi pubblici coinvolti, dovendo l'amministrazione procedere a un bilanciamento ponderato di tutti gli interessi in gioco. Infine, la mera violazione del termine procedimentale, ove non qualificato come perentorio dalla legge, non determina l'illegittimità dell'atto finale, trattandosi di una regola di comportamento e non di validità.