Il soggetto che, indotto in errore da un inganno altrui, partecipa a un'operazione di acquisto di sostanze stupefacenti senza avere la consapevolezza della illiceità della propria condotta e senza l'intenzione di rivendere la droga a terzi, non può essere ritenuto penalmente responsabile per il reato di concorso in detenzione illecita di stupefacenti. Ciò in quanto, in tale ipotesi, difetta il dolo richiesto per la configurazione del reato, essendo la condotta dell'agente determinata dall'altrui inganno, che ha viziato la sua volontà, ai sensi degli artt. 47 e 48 c.p. L'agente provocatore che, abusando del proprio ruolo di pubblico ufficiale, ha indotto l'imputato a partecipare all'operazione illecita, falsamente rappresentandogli che essa fosse autorizzata, deve essere ritenuto l'unico responsabile del reato, in applicazione del principio di cui all'art. 48 c.p. Pertanto, in tali casi, la condotta dell'imputato, essendo priva del necessario elemento soggettivo del dolo, non può integrare gli estremi del reato contestato.