Nel caso in cui, proposto dall'interessato ricorso per cassazione avverso il rigetto dell'istanza di revoca del mandato di cattura, sia intervenuta, nelle more del giudizio di impugnazione, la sentenza 22 aprile 1986, n. 110, con la quale la corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 263, secondo comma, cod. proc. pen. nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura, non è necessario ricorrere all'istituto della conversione né ad una analisi della volontà del soggetto impugnante, poiché nella fattispecie non c'è stata la erronea indicazione di un mezzo di gravame diverso da quello apprestato tassativamente dall'ordinamento, bensì un atto valido e ritualmente proposto sotto la vigenza di una normativa che è stata successivamente dichiarata incostituzionale. Ne deriva che alla corte di cassazione incombe l'obbligo non già di emettere una pronuncia giurisdizionale in senso tecnico, ma di consentire, trasmettendo l'atto all'ufficio divenuto competente, che l'impugnante veda soddisfatto il diritto, a suo tempo ritualmente esercitato, di vedere realizzato il proprio interesse all'impugnazione, il cui unico mezzo consentito, a seguito della pronuncia costituzionale, è quello dell'appello davanti al tribunale della libertà.