Cassazione penale Sez. I sentenza n. 11130 del 7 marzo 2014

ECLI:IT:CASS:2014:11130PEN

Massima

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Il giudice dell'esecuzione è tenuto a revocare la sentenza di condanna passata in giudicato per un reato previsto da una norma incriminatrice successivamente abrogata, espressa o tacitamente, anche a seguito di un mutamento interpretativo della disposizione operato dalla giurisprudenza di legittimità. L'articolo 673 c.p.p. impone tale obbligo di revoca in attuazione del principio generale stabilito dall'articolo 2, comma 2, c.p., secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato. Tale principio trova applicazione non solo in caso di abrogazione espressa della norma incriminatrice, ma anche quando la nuova legge regola con diverse prescrizioni l'intera materia già disciplinata dalla norma anteriore, determinandone l'abrogazione tacita per incompatibilità. Il giudice dell'esecuzione deve quindi verificare se il fatto per il quale è stata pronunciata condanna costituisca ancora reato alla luce di eventuali interventi legislativi di abrogazione espressa o tacita della norma incriminatrice, senza che rilevi un mutamento giurisprudenziale successivo alla formazione del giudicato, il quale non integra un presupposto per la revoca della sentenza ai sensi dell'articolo 673 c.p.p. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 230 del 2012, ha chiarito che l'articolo 673 c.p.p. non può essere applicato al mutamento giurisprudenziale, ma solo all'abrogazione legislativa della norma incriminatrice, espressa o tacita. Pertanto, il giudice dell'esecuzione ha correttamente proceduto alla revoca della sentenza di condanna pronunciata nei confronti dello straniero irregolare per il reato di cui all'articolo 6, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, commesso in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, che ha novellato la formulazione della norma incriminatrice, determinandone l'abrogazione tacita per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare, come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 16453 del 2011.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIEFFI Severo - Presidente

Dott. ZAMPETTI Umberto - Consigliere

Dott. CAPRIOGLIO Piera M. S. - Consigliere

Dott. CASA Filippo - Consigliere

Dott. BONI Monica - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO;

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 369/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del 15/02/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

lette le conclusioni del PG dott. IACOVIELLO ((omissis)) che ha chiesto il rigetto del ricorso e in subordine la remissione della questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

RITENUTO IN FATTO

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