Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così formulato: La sussistenza del reato di associazione a delinquere può essere desunta dalla sistematica commissione di reati contro il patrimonio, accomunati da analoghe circostanze di tempo, luogo e modalità esecutive, nonché dalla stessa tipologia delittuosa, anche in assenza di una struttura organizzativa rigidamente gerarchica, purché emerga un vincolo associativo stabile e permanente tra i concorrenti, finalizzato alla realizzazione di un programma criminoso indeterminato. Il ruolo di capo e promotore dell'associazione può essere attribuito a colui che, sulla base delle risultanze probatorie, in particolare delle intercettazioni, risulti aver impartito istruzioni e direttive agli altri partecipi per il buon esito delle attività delittuose. Inoltre, l'aggravante del rilevante danno patrimoniale di cui all'art. 61, comma 1, n. 7 c.p. può essere riconosciuta anche quando parte della refurtiva sia stata successivamente recuperata, in quanto il danno deve essere valutato con riferimento al momento della consumazione del reato, a prescindere da eventuali recuperi successivi. Infine, la recidiva, pur avendo natura facoltativa, può essere legittimamente applicata all'esito di una valutazione giudiziale condotta ai sensi dell'art. 133 c.p., senza che ciò comporti necessariamente una pena eccessiva, purché la stessa sia adeguatamente motivata.