Il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, integra l'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, a prescindere dalla sussistenza di ulteriori fini, quali il soddisfacimento dei desideri dell'agente, la mera violenza fisica o l'umiliazione morale. La valutazione della prova testimoniale, anche in caso di contrasto tra le dichiarazioni delle persone offese e la consulenza tecnica della difesa, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logica e coerente, senza che sia consentita una rivalutazione autonoma del materiale probatorio. Il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" non può essere utilizzato nel giudizio di cassazione per valorizzare ipotesi ricostruttive alternative emerse in sede di merito, se adeguatamente esaminate e disattese dal giudice di appello. La mancata ammissione di una prova testimoniale richiesta dalla difesa è censurabile in cassazione solo se tale prova risulti decisiva ai fini della decisione, ovvero tale da poter determinare un esito diverso della vicenda processuale.