Il ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna del giudice di pace, che preveda anche la condanna al risarcimento del danno, anche se in forma generica, deve essere qualificato come appello, in applicazione dell'art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, in vigore dal 2 gennaio 2002. Ciò in virtù del principio di stretta connessione tra condanna penale e condanna al risarcimento del danno, nonché della scelta legislativa di consentire l'appello anche per le sole sanzioni pecuniarie, al fine di compensare la maggiore semplicità e speditezza del rito con la garanzia offerta da un doppio grado di merito. Tale qualificazione dell'impugnazione è imposta da elementari considerazioni di ordine logico, avvalorate dalla particolare formula usata dal legislatore, che reputa sufficiente a legittimare la proposizione dell'appello anche una generica statuizione di condanna al risarcimento del danno. Inoltre, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che l'appellabilità della sentenza è diretta conseguenza della condanna al risarcimento del danno, anche in forma generica, senza che ciò comporti la possibilità di far valere vizi interni riguardanti le statuizioni civili non denunciati con l'impugnazione. Infine, anche qualora il ricorso per cassazione fosse stato proposto per saltum ai sensi dell'art. 569 c.p.p., esso dovrebbe comunque essere convertito in appello, in applicazione del principio che impone al giudice di interpretare la reale volontà dell'istante, dal momento che con il ricorso sono stati dedotti anche vizi di motivazione relativi all'esclusione della scriminante di cui all'art. 52 c.p. e alla valutazione delle prove.