Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3569 del 14 marzo 1990
ECLI:IT:CASS:1990:3569PEN
Massima
Massima ufficiale
Non e` configurabile il delitto di interesse privato in atti di ufficio nel caso in cui un pubblico funzionario (nella specie: sottufficiale dei carabinieri), sia pure contro le regole disciplinanti il rapporto di impiego (si` da poter, eventualmente, integrare il presupposto per l'applicazione di sanzione disciplinare), esplichi una seconda attivita` retribuita in favore di un privato, al di fuori dei suoi compiti funzionali ed in modo tale da non portare perturbamento ai beni tutelati dalla norma di cui all'art. 324 c. p., cioe`, all'obiettivita` e alla imparzialita` della p.a.. (fattispecie di comandante di una stazione dei carabinieri, il quale, contro retribuzione, provvedeva al quotidiano inserimento e disinserimento del sistema di allarme di un complesso commerciale, nonche` a ritirare - nella serata del sabato - l'intero incasso per custodirlo, sino al mattino del successivo lunedi` - nella cassaforte dell'ufficio. La corte suprema, annullando senza rinvio la decisione del giudice di merito, ha ritenuto che tale attivita` integrava una prestazione di natura privatistica, praticamente un secondo lavoro. La corte si e` data carico di escludere la ipotizzabilita` di un fatto di corruzione, ex art. 318 c. p., non potendosi ravvisare in quei comportamenti un atto di ufficio; ha, d`altra parte, ritenuto irrilevante, sotto il profilo considerato, la circostanza che gli appartenenti all'arma dei carabinieri debbono essere considerati sempre in servizio, dato che, secondo quanto dispone l'art. 2 r.d. 14 giugno 1934, n. 1169, essi, "anche quando non sono espressamente comandati di servizio, debbono intervenire se avvengono infrazioni alla legge oppure l'opera loro sia richiesta da pubblici ufficiali o anche da privati per il disimpegno delle mansioni per essi stabiliti dai precedenti commi"; il che, ha notato la corte, non vuole significare che qualsivoglia atto della vita di relazione compiuto da detti pubblici ufficiali, in divisa o senza, sia sempre da considerarsi espressione di pubblica funzione, essendo ovvio che, anche rispetto ad essi, la linea di demarcazione tra la sfera pubblica e quella privata resta disegnata dal contenuto e dalle finalita` dell'atto di volta in volta posto in essere dall'agente.
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