Il reato di tratta di esseri umani e di riduzione in schiavitù si configura quando l'agente, approfittando dello stato di vulnerabilità della vittima, la recluta, la trasporta, la trasferisce, l'accoglie o la ospita, sottoponendola a privazioni e violenze fisiche e morali, al fine di costringerla all'esercizio della prostituzione o di altri servizi, annullando la sua capacità di autodeterminazione. Ciò anche quando l'agente, pur non essendo il padrone, agisce in concorso con il soggetto che detiene il potere di controllo e di sfruttamento sulla vittima, partecipando attivamente alle condotte di assoggettamento e di sfruttamento. Lo stato di necessità non può essere invocato dall'agente che, pur essendo stato egli stesso vittima di sfruttamento, abbia consapevolmente e volontariamente concorso nell'assoggettamento e nello sfruttamento di altre persone, in assenza di un pericolo attuale e grave che lo abbia costretto a tale condotta. Il giudice, nel bilanciamento delle circostanze, deve dare prevalente rilievo alle modalità gravemente lesive della dignità umana con cui sono stati commessi i reati, rispetto alle condizioni personali e sociali dell'imputato.