Il ricorso per revocazione di una sentenza della Corte di Cassazione è ammissibile solo in presenza di specifici presupposti, tra cui l'errore di fatto di assoluta evidenza e obiettività, che abbia determinato una decisione diversa. L'errore di fatto deve consistere in una errata percezione di un fatto, in una svista materiale, tale da indurre il giudice a supporre l'esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile. Tale errore non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali o di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, configurandosi in tal caso un mero errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità della sentenza. Pertanto, la mancata formulazione dei quesiti di diritto e di un momento di sintesi, come prescritto dall'art. 366-bis c.p.c. vigente pro tempore, non costituisce un errore di fatto ai fini della revocazione, ma un vizio di motivazione, non rientrante tra i casi tassativi di cui all'art. 395 c.p.c. Conseguentemente, il ricorso per revocazione deve essere rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio e del contributo unificato.