Cassazione penale Sez. V sentenza n. 27615 del 19 luglio 2002

ECLI:IT:CASS:2002:27615PEN

Massima

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Il giornalista che pubblica, anche fedelmente, dichiarazioni di terzi lesive della reputazione altrui, risponde del reato di diffamazione a titolo di concorso, in quanto partecipa con apporto causale predominante alla realizzazione della condotta diffamatoria, a prescindere dall'eventuale querela della persona offesa nei confronti del solo autore materiale delle dichiarazioni. La falsa notizia pubblicata, anche se riferita a soggetto già gravato da precedenti penali, è idonea a ledere la reputazione di questi, in quanto il riferimento a pregressi episodi di carcerazione e di spaccio di stupefacenti, ancorché non accertati, evoca un disvalore sociale e morale tale da compromettere la considerazione di cui il soggetto gode presso la collettività. L'errore del giornalista sulla verità dei fatti riportati non costituisce causa di esclusione della responsabilità penale, in quanto si risolve in una ignoranza, non inevitabile, della legge penale, che non può essere invocata a propria scusa. La liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, pur sfuggendo ad una precisa valutazione analitica, è incensurabile in sede di legittimità, purché contenga l'indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico adottato dal giudice di merito.

Sentenza completa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13.12.1999 il tribunale di Bologna dichiarava P. F. colpevole del reato di cui all'art. 595 c. 3° c.p. ("perché, in un articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" il 20.6.1996, nel riportare il contenuto di un 'intervista, riferentesi a S. Y., scriveva la seguente falsa circostanza: "comunque nessuno ha scritto che quell'algerino era stato in galera per spaccio una settimana prima", offendendo così la reputazione di S. Y., in Bologna il 20.6.1996") e, con le attenuanti generiche equivalenti, condannava il medesimo P. alla pena di L. 1.500.000 di multa, nonché al risarcimento, in favore della costituita parte civile, del danno morale, liquidato equitativamente in L. 8.000.000.
Avverso la summenzionata sentenza il difensore del P. proponeva appello, deducendo: 1) che doveva dichiararsi non doversi procedere a carico dell'imputato, per mancanza di querela, giacché la parte lesa aveva …

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