Il diritto di manifestazione del pensiero e l'obbligo di testimonianza trovano il loro limite nella diffamazione e nella calunnia, che non si configurano quando le espressioni utilizzate sono generiche, prive di riferimenti a fatti specifici suscettibili di concreta verifica, e l'attività svolta costituisce l'adempimento di un dovere civico sanzionato dalla legge. In tali casi, l'antigiuridicità del fatto è esclusa, in quanto la manifestazione del pensiero, al pari della testimonianza, non può essere considerata diffamatoria se risponde all'esigenza di fornire informazioni rilevanti per l'accertamento della verità, anche se tali informazioni possono risultare sgradevoli o dannose per la reputazione altrui. Il divieto di deporre su voci correnti in pubblico e di esprimere apprezzamenti personali, previsto dall'art. 194, comma 4, c.p.p., si riverbera anche sugli organi inquirenti, che devono attenersi alla prescrizione dettata dall'art. 499, comma 1, c.p.p., ponendo domande su fatti specifici. Pertanto, la valutazione negativa sulla stima di cui godono le parti lese e sulla loro personalità, espressa dagli imputati in risposta a domande della polizia giudiziaria, non integra gli estremi della diffamazione, in quanto rientra nell'adempimento del dovere di rendere sommarie informazioni, senza eccedere in espressioni offensive o calunniose.