Il reato di falsa attestazione di identità personale (art. 495 c.p.) si configura quando l'agente, privo di documenti di identificazione, fornisce ai pubblici ufficiali false dichiarazioni sulla propria identità, in assenza di altri mezzi di identificazione, al fine di garantire le proprie qualità personali. Tale condotta, pur essendo punita con la stessa pena minima del reato di simulazione di reato (art. 496 c.p.), integra il più grave delitto di falsa attestazione in quanto le dichiarazioni mendaci sono preordinate a sostituire l'identificazione mediante documenti. L'attenuante del ravvedimento operoso (art. 62 n. 6 c.p.) non è applicabile quando l'agente, pur esibendo successivamente i propri documenti, non abbia efficacemente eliso o attenuato le conseguenze del fatto, non avendo le autorità investigative già autonomamente ricostruito la consistenza dei fatti. La tempestività dell'impugnazione costituisce un requisito essenziale per l'ammissibilità del ricorso in Cassazione, la cui inosservanza determina l'inammissibilità del gravame.