Il comportamento violento e prevaricatore di un coniuge, anche se successivo alla violazione dell'obbligo di fedeltà da parte dell'altro, costituisce una condotta talmente grave da integrare, di per sé, la causa determinante l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e da fondare l'addebito della separazione personale, senza necessità di procedere al bilanciamento con l'eventuale infedeltà del coniuge vittima delle violenze. Infatti, la violenza domestica, in ragione della sua estrema gravità, è comparabile solo con comportamenti omogenei e non può essere giustificata o scriminata da altre condotte, anche se disdicevoli, del coniuge che ne subisce le conseguenze. Il giudice è pertanto esonerato dal dovere di comparare il comportamento del coniuge violento con quello della vittima ai fini dell'adozione delle relative pronunce di separazione e addebito, in quanto la violenza fisica e morale, anche se reiterata in un unico episodio, costituisce di per sé una violazione talmente grave dei doveri nascenti dal matrimonio da determinare l'intollerabilità della convivenza e da fondare l'addebito della separazione all'autore di tali condotte, a prescindere da ogni altra considerazione sulla reciproca osservanza degli obblighi coniugali. Tali principi, affermati dalla giurisprudenza di legittimità, trovano ulteriore conferma e rilevanza nell'intervento del legislatore, che ha introdotto specifiche disposizioni volte a disciplinare i procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere, a tutela della vittima e della comunità familiare.