La condotta lesiva posta in essere dall'atleta nel corso di una competizione sportiva può integrare un illecito penalmente rilevante qualora esuli dai limiti del "rischio consentito" e si configuri come violazione di specifiche regole cautelari, generiche o speciali, che impongono doveri di lealtà, correttezza e rispetto dell'avversario. L'accertamento della responsabilità colposa non può prescindere dalla verifica oggettiva del fatto dannoso e della sussistenza della colpevolezza dell'agente, secondo i consueti criteri di cui all'art. 43 c.p., senza che assumano rilievo determinante né l'entità del danno procurato, né la qualificazione dell'azione come "fallosa" o "sproporzionata" rispetto alle esigenze del gioco. Ciò che rileva è l'individuazione della regola cautelare, generica o specifica, che l'atleta ha violato in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche dell'azione nel contesto agonistico di riferimento. Solo l'accertata violazione di una predeterminata regola cautelare, che trascende i meri limiti del "rischio consentito", può fondare la responsabilità penale dell'atleta per il reato di lesioni colpose.