Cassazione penale Sez. III sentenza n. 24669 del 24 giugno 2021

ECLI:IT:CASS:2021:24669PEN

Massima

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Il vincolo associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi dell'art. 74 del D.P.R. n. 309/1990, si configura quando tra i singoli associati sussiste un accordo diretto a costituire una struttura permanente, in cui ciascuno assume compiti e ruoli specifici nell'ambito di un programma criminoso unitario volto alla commissione di una serie indeterminata di delitti di cui all'art. 73 del medesimo decreto. La prova del vincolo associativo può essere data anche attraverso l'accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive. La qualifica di "organizzatore" spetta a chi coordina l'attività degli associati ed assicura la funzionalità delle strutture del sodalizio, non essendo necessario che tale ruolo sia svolto con riferimento all'associazione nella sua interezza, potendo risultare sufficiente la gestione di uno specifico ambito, come quello dell'individuazione delle fonti di approvvigionamento e della fornitura dello stupefacente. Ai fini della configurabilità dei reati di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e di procurata inosservanza di pena (art. 390 c.p.), è sufficiente che la condotta consapevole del reo si colleghi oggettivamente, sul piano causale, con l'interesse del soggetto aiutato a sottrarsi alle investigazioni o all'esecuzione della pena, a prescindere dall'effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, purché l'agente abbia fornito un contributo materiale idoneo alla realizzazione di tali finalità e si sia rappresentato la portata del proprio agire. La valutazione degli elementi indiziari relativi ai reati-fine di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309/1990, anche quando si tratti di "droga parlata", deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore, fondandosi su un dato probatorio "al di là di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote. Sussiste la presunzione relativa di adeguatezza della misura cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 74 del D.P.R. n. 309/1990, che può essere superata solo attraverso l'allegazione di elementi concreti da parte della difesa, non essendo sufficiente la mera contestazione generica del pericolo di recidiva e di fuga.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere

Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere

Dott. AMOROSO M. CRISTINA - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 19/08/2020 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GAI Emanuela;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale GIORDANO Luigi, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'im…

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