Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La confisca di beni ai sensi dell'art. 12-sexies della L. n. 356 del 1992 può essere disposta quando sussiste un nesso di strumentalità tra i beni da confiscare e l'attività delittuosa accertata, anche in assenza di una prova diretta della provenienza illecita dei beni, purché vi sia una ragionevole vicinanza temporale tra l'acquisizione dei beni e la commissione del reato, tale da far presumere un illecito arricchimento. Tale presunzione non è superata dalla mera allegazione di una provenienza lecita dei fondi utilizzati per l'acquisto, in assenza di una prova positiva della loro effettiva provenienza da attività economiche lecite. Inoltre, l'intestazione fittizia di beni a terzi, quali il coniuge o società riconducibili al soggetto condannato, è desumibile dalla evidente sproporzione tra il valore dei beni e la capacità reddituale dei titolari formali, senza che sia necessaria una prova diretta dell'interposizione fraudolenta. La valutazione di tali elementi rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui motivazione è incensurabile in sede di legittimità, salvo vizi logici o travisamenti della prova.