Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La legittima difesa non può essere riconosciuta quando l'agente, pur avendo la possibilità concreta di sottrarsi al pericolo, si prepara intenzionalmente a commettere il reato, munendosi di armi e ponendosi in attesa dell'arrivo delle presunte vittime, dimostrando così di voler risolvere la controversia attraverso una condotta omicida e non di voler esclusivamente difendere la propria incolumità. In tali casi, la condotta dell'agente, caratterizzata da una chiara volontà di uccidere, esclude la sussistenza dei requisiti della legittima difesa, anche nella forma putativa o dell'eccesso colposo, e della scusante della provocazione, in quanto il fatto ingiusto altrui non risulta adeguatamente causale rispetto all'offesa cagionata. La valutazione complessiva delle modalità esecutive del reato, che evidenziano una progressione criminosa e una determinazione omicida dell'agente, prevale sulle allegazioni difensive relative a precedenti comportamenti aggressivi delle vittime, non idonei a giustificare la reazione sproporzionata e premeditata dell'imputato.