La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: Il Comune, in qualità di autorità competente, può regolamentare il traffico veicolare su una strada di fatto pubblica e accessibile al pubblico, anche se non formalmente classificata come strada comunale, in base alle previsioni dell'art. 6 del Codice della Strada, per motivi di sicurezza pubblica e di disciplina della circolazione, a prescindere dalla titolarità della proprietà del fondo su cui insiste la strada. Tali misure di regolamentazione del traffico, anche se incidono sulla libertà di circolazione, rientrano nel ampio potere discrezionale dell'amministrazione comunale e sono soggette a un sindacato giurisdizionale limitato alla verifica della loro logicità e ragionevolezza, senza che sia necessaria un'approfondita istruttoria tecnica o una puntuale motivazione. Il Comune può pertanto disporre limitazioni e divieti di accesso veicolari su strade private ma di fatto pubbliche, anche in assenza di una espressa previsione nel piano urbanistico, purché ciò sia giustificato da esigenze di tutela ambientale, di valorizzazione del territorio e di sicurezza dei pedoni. Tali misure non violano i diritti di partecipazione degli interessati, in quanto atti di carattere generale non soggetti alle relative garanzie procedimentali.