Il reato di tentata estorsione si configura quando l'agente, pur essendo consapevole dell'ingiustizia della sua pretesa, persegue un profitto mediante l'utilizzo di minacce, a differenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in cui l'agente agisce nella ragionevole, seppur erronea, convinzione di esercitare un proprio diritto. Pertanto, ai fini della distinzione tra i due reati, rileva l'elemento psicologico dell'agente, che deve essere accertato sulla base delle circostanze concrete del caso, come l'incapacità dell'imputato di fornire elementi idonei a dimostrare l'effettiva esistenza di un credito e la formulazione di gravi minacce nonostante la richiesta di maggiori dettagli da parte della persona offesa. La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non può essere applicata in caso di riconoscimento della recidiva reiterata specifica, in quanto sintomatica di un elevato grado di colpevolezza e di accentuata pericolosità sociale dell'imputato.