La minaccia grave, ai sensi dell'art. 612, comma 2, c.p., sussiste quando la condotta minacciosa è attuata in uno dei modi indicati dall'art. 339 c.p., comma 1, ovvero attraverso l'uso di armi o di altri mezzi atti a produrre un grave danno alla persona, oppure con la minaccia di un grave male alla persona, indipendentemente dalla concreta realizzazione del male prospettato, purché la minaccia risulti idonea a suscitare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità. La valutazione della gravità della minaccia deve essere effettuata tenendo conto del contesto in cui essa si è manifestata, delle modalità con cui è stata espressa e delle condizioni personali della vittima, senza che sia necessaria una perfetta corrispondenza tra il male minacciato e quello effettivamente cagionato. La determinazione della pena, nel rispetto dei limiti edittali, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale è tenuto a motivare la propria scelta in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica motivazione quando la pena irrogata si collochi in una fascia medio-bassa rispetto al massimo edittale.