Cassazione penale Sez. I sentenza n. 2923 del 9 giugno 1998
ECLI:IT:CASS:1998:2923PEN
Massima
Massima ufficiale
In tema di benefici penitenziari, le sentenze della Corte Costituzionale n. 357/94 e n. 68/95 - pur avendo dichiarato incostituzionale l'art. 4 bis, comma primo, dell'Ordinamento Penitenziario nella parte in cui non prevedeva la possibilità di benefici o misure alternative per i condannati per il reato ex art.416 bis COD.PEN. - non hanno escluso per ciò solo che, in assenza comunque di qualsiasi attività collaborativa del richiedente, debba essere costui in sede di istanza ad indicare le ragioni della asserita impossibilità a fornire detta collaborazione, rimettendo poi al giudicante l'onere di verificare quanto dallo stesso affermato e, in caso di rigetto dell'istanza, a motivare al riguardo. Il giudice di sorveglianza, una volta verificata l'inammissibilitàdell'istanza per la mancanza del requisito della impossibilità di qualsiasi attività collaborativa, non è tenuto ad attivarsi di ufficio, pur in presenza dei suindicati pronunciamenti costituzionali, per verificare e valutare la sussistenza o meno di circostanze atte a consentire il superamento della mancata collaborazione oggettivamente sussistente, ostativa, in quanto tale, all'accoglimento dell'istanza già di per sé inammissibile per i motivi di cui sopra. (Nella fattispecie il Tribunale di Sorveglianza, con ordinanza, aveva dichiarato inammissibile la richiesta del detenuto di essere affidato in prova al servizio sociale, rilevando che l'istante era stato condannato per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso e non risultava aver prestato una attività di collaborazione ex art. 58 ter dell'Ordinamento Penitenziario. Avverso tale provvedimento aveva proposto ricorso per Cassazione l'interessato deducendo vizio di carenza di motivazione non avendo il Tribunale di Sorveglianza minimamente valutato che egli, per la posizione marginale che aveva ricoperto nell'ambito dell'associazione per delinquere in questione, non aveva avuto alcuna concreta possibilità di prestare una idonea collaborazione con gli inquirenti, circostanza questa che a suo avviso avrebbe dovuto essere presa in considerazione, così come avrebbe dovuto essere effettuato l'accertamento circa la inesistenza di suoi attuali collegamenti con la criminalità organizzata. La Suprema Corte, osservando tra l'altro che l'interessato nella sua originaria istanza di affidamento in prova non aveva fatto cenno alcuno alla sua asserita impossibilità di collaborazione, ha rigettato il ricorso in applicazione del principio di cui in massima).
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