Il giudice di legittimità, nell'esaminare il ricorso per cassazione, è tenuto a verificare la corretta formulazione dei motivi di impugnazione, in conformità ai requisiti stabiliti dall'art. 366-bis c.p.c. Pertanto, il ricorso è dichiarato inammissibile qualora: 1) i motivi non soddisfino i requisiti di cui all'art. 366-bis c.p.c., in quanto non contengono la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria, né il momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti; 2) il ricorrente non abbia adempiuto all'onere di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovino i documenti posti a fondamento delle censure, nonché di trascriverne o riassumerne il contenuto, come richiesto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6; 3) le censure presuppongano un esame delle risultanze processuali e apprezzamenti di fatto, attività precluse al giudice di legittimità. In tali ipotesi, il giudice di legittimità non può entrare nel merito delle questioni dedotte, ma deve limitarsi a dichiarare l'inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.