Il pubblico ufficiale che, abusando dei poteri e dei doveri del proprio ufficio, accede in modo illecito a un sistema informatico di interesse pubblico e manipola i dati ivi contenuti al fine di compiere atti contrari ai propri doveri d'ufficio, come il rilascio di cittadinanze italiane a soggetti privi dei requisiti necessari, in cambio di denaro, commette il reato di corruzione propria. Tale condotta è punita con la reclusione e la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata della pena principale, in quanto l'abuso dei poteri e dei doveri d'ufficio, unito alla dazione o promessa di denaro, integra gli estremi della corruzione propria, a prescindere dall'effettivo passaggio di denaro o dalla concreta realizzazione dell'atto contrario ai doveri d'ufficio. La confisca del profitto del reato può essere disposta anche in assenza dell'individuazione di tutti gli intermediari coinvolti, essendo sufficiente la prova dell'abusiva manipolazione delle pratiche e della pattuizione di un compenso per ciascuna di esse. Il danno cagionato alla pubblica amministrazione, sia sotto il profilo patrimoniale che di immagine, deve essere risarcito, con possibilità di concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva.