Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Il giudizio di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione non costituisce un terzo grado di merito, ma un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Pertanto, il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per reiterare i rilievi mossi alla decisione di primo grado, senza alcun riferimento ai contenuti e alle rationes decidendi proprie della sentenza di secondo grado impugnata, né per chiedere alla Corte di Cassazione di ergersi da sé come "giudice del fatto", individuando autonomamente le voci di danno rilevanti e la loro liquidazione, al di fuori dei vizi denunciabili ai sensi dell'art. 360 c.p.c. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere censure formulate in modo tecnico e puntuale, con riferimento alle ipotesi tassative di cui all'art. 360 c.p.c., senza poter far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata.