E' inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso la sentenza d'appello, qualora la stessa non abbia impugnato la decisione di primo grado, per lei sfavorevole. Il rapporto processuale civile d'impugnazione trova infatti la sua ragione d'essere sia nella volontà della parte, la quale deve essere costantemente attiva nel formulare le sue domande (artt. 102 e 489 cod. proc. pen.), che nell'interesse al gravame, fondamento unico per la prosecuzione del giudizio negli ulteriori gradi. Ne deriva che la parte civile, qualora voglia ottenere una modifica in senso per lei vantaggioso della pronuncia di primo grado, deve proporre rituale impugnazione (appello nei due casi espressamente previsti nella formulazione originaria dell'art. 195 cod. proc. pen. e ricorso per cassazione in tutti gli altri), senza che a tal fine possa avvalersi dell'eventuale gravame del pubblico ministero, il quale mira esclusivamente a tutelare l'interesse punitivo dello stato. L'omessa tempestiva impugnazione contro la decisione di primo grado comporta quindi la "consunzione" del relativo diritto e la conseguente acquiescenza alla sentenza, che, in base all'applicazione analogica dell'art. 329 cod. proc. civ., acquista autorità di cosa giudicata.