Il reato di minaccia è configurabile anche quando la condotta minacciosa, pur moralmente riprovevole, non sia idonea a incutere un effettivo timore nell'animo della persona offesa, purché sia diretta a paventare un danno ingiusto, valutato nel contesto in cui la minaccia è stata pronunciata. La valutazione della prova della condotta minacciosa non può fondarsi esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, ma deve essere sorretta da una motivazione che superi il dubbio ragionevole, senza limitarsi ad affermazioni apodittiche. Inoltre, il mancato rispetto del termine di venti giorni per la citazione in appello dell'imputato, previsto dall'art. 601 c.p.p., comma 3, comporta una nullità relativa che resta sanata se non eccepita tempestivamente. Tuttavia, in presenza di una causa di estinzione del reato, come la prescrizione, il giudice di legittimità deve procedere alla declaratoria di tale causa, anche in assenza di una specifica eccezione, in quanto prevalente sulle altre statuizioni.