Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è il seguente: L'interpretazione di un accordo transattivo deve essere condotta in base al criterio della comune intenzione delle parti, desumibile primariamente dal tenore letterale delle clausole contrattuali, senza necessità di ricorrere a criteri interpretativi sussidiari come quello della buona fede, quando il contenuto dell'accordo risulti chiaro ed univoco. L'impegno di una parte di non produrre, commercializzare ed esporre determinati prodotti, assunto in un accordo transattivo, deve essere interpretato in modo rigoroso, limitandosi ai soli prodotti espressamente indicati, senza estenderlo a prodotti simili o confondibili, salvo che ciò non risulti dalla comune intenzione delle parti desumibile dal testo contrattuale. Ai fini dell'accertamento della imitazione servile vietata dall'art. 2598 c.c. n. 1, non è sufficiente la mera somiglianza formale tra i prodotti, essendo necessario che le caratteristiche esteriori del prodotto imitato abbiano efficacia individualizzante e distintiva, tale da ricondurre il prodotto ad una determinata impresa. Pertanto, la semplice adozione di forme, materiali e soluzioni decorative comuni e diffuse nel settore merceologico di riferimento non integra gli estremi dell'imitazione servile, in assenza di elementi distintivi idonei a connotare in modo peculiare il prodotto di una specifica impresa.