Il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale. Pertanto, la condotta di sottrazione di un bene altrui, pur non essendo finalizzata all'ottenimento di un'utilità economica, integra comunque gli estremi del reato di furto, non potendo essere riqualificata in violenza privata. Il giudice, nel valutare la sussistenza del dolo specifico, deve tenere conto non solo dell'intenzione di trarre un vantaggio di natura patrimoniale, ma anche di qualsiasi altro scopo, anche non economico, che abbia mosso l'agente a commettere il fatto. Ciò in quanto il legislatore, nel delineare la fattispecie del furto, ha inteso reprimere ogni forma di appropriazione indebita di beni altrui, a prescindere dalla finalità perseguita dal reo. Pertanto, anche qualora l'imputato abbia agito al solo scopo di impedire la prosecuzione di un'attività ritenuta molesta, come nel caso di specie, la sua condotta integra comunque gli estremi del reato di furto, non potendo essere ricondotta alla meno grave fattispecie della violenza privata.