La misura dell'incandidabilità prevista dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, può essere applicata agli amministratori locali responsabili di condotte che hanno determinato lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, anche in assenza di una loro diretta partecipazione ad associazioni criminali, quando essi siano venuti meno agli obblighi di vigilanza, indirizzo e controllo previsti dalla legge, consentendo l'ingerenza della criminalità organizzata nell'amministrazione locale e la perpetuazione di una cattiva gestione della cosa pubblica, aperta al condizionamento delle consorterie delinquenziali. La misura interdittiva elettorale non richiede la sussistenza di una condanna penale, essendo sufficiente l'accertamento di una colpevole inerzia dell'amministratore nell'adottare le necessarie iniziative per impedire l'inquinamento dell'ente locale da parte della criminalità organizzata, anche quando tale situazione sia stata ereditata da precedenti consiliature. L'applicazione della misura non è esclusa dalla circostanza che l'amministratore abbia ricoperto l'incarico per un breve periodo di tempo, essendo rilevante la sua omissione nel porre in essere i dovuti controlli e nell'assumere le determinazioni necessarie per contrastare l'infiltrazione mafiosa, anche laddove essa fosse già radicata nell'ente locale.