Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così sintetizzato: Il pubblico ufficiale che, in una situazione di allerta e di possibile rischio per l'ordine pubblico e il regolare funzionamento degli uffici, adotta misure volte a limitare e disciplinare l'accesso di manifestanti all'edificio comunale, rafforzando le procedure di identificazione, non agisce in modo arbitrario o persecutorio, ma nell'ambito dei propri poteri e doveri di controllo e tutela, senza comprimere oltre misura i diritti dei manifestanti, quando tali misure risultino proporzionate e giustificate dalle concrete circostanze del caso. In tale contesto, l'uso di una moderata forza fisica da parte degli agenti per spostare i manifestanti che tentino di forzare l'accesso non integra un'attività ingiustamente persecutoria, ma rientra nell'esercizio legittimo delle funzioni di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela dell'incolumità del personale amministrativo presente nell'edificio. Pertanto, in tali ipotesi, non ricorrono i presupposti per l'applicazione della scriminante prevista dall'art. 393-bis c.p. in favore dei manifestanti. Inoltre, il giudice di merito, nel valutare la responsabilità penale dei singoli imputati, può fondare il proprio convincimento sulla base di una complessiva e coerente valutazione delle risultanze probatorie, senza che la Corte di Cassazione possa sostituire la propria valutazione a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, salvo che non emerga un vizio della motivazione di palese e immediata riconoscibilità.