Il falso ideologico commesso in atto pubblico per ottenere un beneficio economico è punibile ai sensi dell'art. 483 c.p., a prescindere dalla circostanza che il beneficio sarebbe stato comunque concesso anche in assenza della dichiarazione mendace. Ai fini della configurabilità del reato, rileva unicamente l'idoneità della falsa attestazione a trarre in inganno l'amministrazione pubblica circa la veridicità dei fatti dichiarati, a prescindere dall'effettiva incidenza della stessa sull'erogazione del beneficio richiesto. Il dolo del reato di falso è integrato dalla consapevolezza e volontà di attestare il falso, senza che sia necessario accertare la specifica finalità di conseguire un ingiusto profitto o di arrecare un danno. La concessione di circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena detentiva rientrano nella discrezionalità del giudice di merito, il quale deve valutare la gravità del fatto e la personalità dell'imputato secondo i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., sicché la censura sulla congruità della pena è inammissibile in sede di legittimità.