Il medico che, abusando delle condizioni di inferiorità psichica di un paziente ricoverato presso la struttura sanitaria in cui presta servizio, lo costringe a subire atti sessuali, commette il reato di violenza sessuale aggravata dalla condizione di inferiorità della vittima, essendo irrilevante la natura privatistica o pubblicistica del rapporto di lavoro che lega il medico alla struttura, in quanto ciò che rileva ai fini della qualificazione dell'imputato come incaricato di pubblico servizio è il profilo pubblicistico dell'attività medica svolta, in ragione della rilevanza costituzionale della tutela della salute. La valutazione della credibilità della testimonianza della persona offesa, quale unico testimone oculare, rientra nell'ambito del sindacato di legittimità solo ove si riscontrino vizi di illogicità, contraddittorietà o carenza della motivazione, non essendo consentito al giudice di legittimità sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Inoltre, la motivazione sulla determinazione della pena, nel rispetto dell'articolo 133 c.p., è adeguata laddove il giudice indichi gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti, senza necessità di esaminare tutti i criteri indicati dalla norma.