La massima giuridica che si può estrarre dalla sentenza è la seguente: Il rilascio della concessione edilizia da parte del Comune, anche in deroga ai limiti di trasformabilità del volume già destinato ad abitazioni, è legittimo quando: 1) L'immobile oggetto dell'intervento edilizio è qualificato dal piano di recupero come "di pregio architettonico" e le esigenze di tutela e conservazione del bene culturale, valutate dall'Ufficio beni architettonici della Provincia, sono incompatibili con il mantenimento dell'uso abitativo, giustificando il cambio di destinazione d'uso. 2) Il cambio di destinazione d'uso da abitativo a terziario (ristorante) rientra nell'ipotesi di "ampliamento razionale di aziende di servizi esistenti nell'edificio alla data del 1.10.1997", prevista dall'art. 28, comma 1, della L.P. n. 13/1997, che consente la trasformazione del volume abitativo oltre il limite del 60% della cubatura complessiva, senza necessità di specifica deroga. 3) Le norme del piano di recupero che prevedono la possibilità di sopraelevazioni e modifiche della copertura con distanze tra edifici non inferiori a 3 metri, costituiscono legittima espressione del potere di pianificazione unitaria dell'intera zona, in deroga al parametro distanziale generale di 10 metri tra pareti finestrate, ai sensi dell'art. 9, comma 3, del D.M. n. 1444/1968. 4) I pareri dell'Ufficio beni architettonici della Provincia, volti a valutare la compatibilità dell'intervento edilizio con le esigenze di tutela del bene culturale, sono atti a natura tecnico-discrezionale, rispetto ai quali i confinanti non vantano una posizione soggettiva qualificata che li legittimi all'impugnazione. 5) L'Amministrazione, in sede di rilascio della concessione edilizia, non è tenuta a un'approfondita verifica della titolarità e delle limitazioni del diritto di proprietà in capo al richiedente, essendo sufficiente l'accertamento dei soli titoli legittimanti ictu oculi apprezzabili. 6) L'omessa puntuale confutazione, nella motivazione del provvedimento, delle osservazioni presentate dai confinanti nel corso del procedimento non integra un vizio di difetto di motivazione, quando le ragioni del provvedimento siano comunque desumibili dalla sua parte dispositiva e dagli atti richiamati.