Il diritto di impugnazione della sentenza di proscioglimento, anche per reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, costituisce una garanzia fondamentale dell'imputato, che non può essere esclusa o limitata da disposizioni legislative sopravvenute, in quanto tale diritto è espressione del principio del giusto processo e del diritto di difesa, tutelati dalla Costituzione. Pertanto, l'imputato ha sempre il diritto di proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento, anche se il reato contestato non rientra nelle eccezioni previste dalla legge, e il giudice di appello è tenuto a esaminare nel merito l'impugnazione, senza poterla dichiarare inammissibile sulla base di norme legislative successivamente riconosciute costituzionalmente illegittime. Tale principio trova applicazione anche quando l'appello sia stato proposto prima dell'entrata in vigore della legge che ha limitato il diritto di impugnazione, in quanto la declaratoria di incostituzionalità della norma ha efficacia retroattiva e comporta la rimozione degli effetti prodotti dall'applicazione della disposizione illegittima. Conseguentemente, il giudice di appello, una volta annullato senza rinvio il provvedimento di inammissibilità dell'appello, è tenuto a esaminare nel merito l'impugnazione proposta dall'imputato, al fine di verificare la correttezza della decisione di proscioglimento emessa in primo grado.