Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La condotta di esercizio abusivo della professione di avvocato, ai sensi dell'art. 348 c.p., richiede non solo l'aver compiuto atti tipici e caratteristici della professione forense, ma anche che tali atti siano espressione di un effettivo e continuativo esercizio della professione, senza indebite simulazioni o artifici volti a trarre in inganno i clienti. Pertanto, la mera realizzazione di attività strumentali e accessorie all'esercizio della professione legale, se connotate da falsa rappresentazione e finalizzate unicamente a perpetrare un raggiro ai danni dei clienti, non integra il reato di cui all'art. 348 c.p., essendo il disvalore penale incentrato sulla condotta fraudolenta e truffaldina, punita a titolo di truffa. L'esercizio abusivo, infatti, sanziona non il mero comportamento da avvocato, ma l'indebita assunzione di prerogative riservate a tale professione, in assenza dei necessari requisiti di legge, a tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio di attività professionali.