Il giudice, nel valutare l'adeguatezza della misura cautelare da applicare all'indagato, deve tenere conto di tutti gli elementi rilevanti, quali l'età avanzata dell'indagato, la cessazione della sua attività lavorativa e degli incarichi pubblici, nonché il tempo trascorso dai fatti contestati, senza trascurare l'assenza di condotte devianti successive al periodo in contestazione. Tali circostanze possono giustificare l'applicazione di una misura cautelare interdittiva meno grave, come la sospensione dalla professione, anziché la custodia cautelare in carcere, anche laddove le condotte contestate siano state astrattamente riqualificate in fattispecie di reato più gravi, come l'abuso d'ufficio invece della corruzione propria. Infatti, la valutazione dell'adeguatezza della misura cautelare non può prescindere da una complessiva e ponderata analisi di tutti gli elementi rilevanti ai fini della prognosi di pericolosità dell'indagato e del pericolo di reiterazione del reato, senza che la mera riqualificazione giuridica delle condotte possa automaticamente imporre l'applicazione della misura cautelare più grave.