Il dolo, quale elemento psicologico del reato, si articola in diversi gradi di intensità, che vanno dal dolo eventuale, in cui l'agente accetta il rischio della realizzazione dell'evento, al dolo diretto, in cui l'evento è previsto e voluto come conseguenza altamente probabile, fino al dolo intenzionale, in cui l'evento è perseguito come scopo finale. Nell'ipotesi di tentato omicidio, la sussistenza del dolo diretto, anche nella forma alternativa, richiede una valutazione rigorosa e approfondita degli indici fattuali, che devono escludere ogni ragionevole dubbio circa la previsione e volizione dell'evento morte da parte dell'agente. In assenza di tali elementi, la condotta può essere al più ascrivibile al dolo eventuale, incompatibile con la fattispecie del tentato omicidio. Pertanto, il giudice di appello, nel modificare in senso peggiorativo la qualificazione giuridica del fatto rispetto alla decisione di primo grado, è tenuto a una motivazione "rafforzata" che confuti in modo esaustivo le argomentazioni probatorie e giuridiche poste a fondamento della diversa qualificazione operata in precedenza, superando ogni ragionevole dubbio.