Il tentativo di reato si configura quando gli atti compiuti dall'agente, valutati ex ante in base alle circostanze concrete, risultano idonei e univocamente diretti alla realizzazione del delitto, a prescindere dall'intervento delle forze dell'ordine che abbiano monitorato e impedito l'esecuzione del fatto. L'idoneità degli atti deve essere valutata in relazione alla loro attitudine a creare una situazione di pericolo concreto e attuale per il bene giuridico tutelato, senza che rilevi l'eventuale intervenuta impossibilità di consumare il reato per cause indipendenti dalla volontà dell'agente. La motivazione della sentenza che afferma la sussistenza del tentativo deve esporre in modo logico e coerente le ragioni per cui gli atti compiuti dall'imputato sono stati ritenuti idonei e univocamente diretti alla realizzazione del delitto, senza che sia necessario un giudizio di merito sulla corrispondenza della motivazione alle risultanze processuali. La commisurazione della pena per il tentativo, invece, rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici della motivazione.