Il diritto di critica politica, pur consentendo l'utilizzo di espressioni anche aspre e giudizi di parte, non può scriminare l'attribuzione di condotte scorrette o illecite non corrispondenti al vero. Affinché la critica politica sia lecita, essa deve fondarsi sull'attribuzione di fatti veri, non potendo ritenersi rapportabile all'esercizio del diritto di critica l'imputazione di comportamenti contrari alla verità, anche se finalizzata a stigmatizzare l'operato di un personaggio pubblico. Il requisito della verità dei fatti oggetto di critica è, pertanto, essenziale ai fini dell'applicazione della scriminante di cui all'art. 51 c.p., non potendo essere superato dalla mera volontà di esprimere una valutazione soggettiva, anche se formulata nell'ambito di una polemica politica. La critica politica, pur potendo tradursi in giudizi di parte e non obiettivi, deve comunque avere a fondamento l'attribuzione di condotte realmente tenute dal soggetto criticato, senza che possa ritenersi scriminata l'imputazione di fatti non corrispondenti al vero e idonei a screditare la persona offesa.