La minaccia implicita, anche se non palese, esplicita e determinata, può integrare il delitto di estorsione qualora sia idonea a incutere timore e coartare la volontà della vittima, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e all'ambiente in cui opera. L'appartenenza dell'agente a un'associazione criminosa di stampo mafioso, di cui la vittima è consapevole, può costituire un elemento rilevante per la sussistenza della minaccia implicita e dell'aggravante di cui all'art. 7 del d.l. n. 152/1991, in quanto la forza di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e omertà che ne derivano possono essere percepite dalla vittima come fattori di coartazione della propria volontà, anche in assenza di esplicite minacce. Ai fini della determinazione della pena, il giudice può legittimamente tenere conto della gravità del fatto e della personalità dell'imputato, desunta anche dai suoi precedenti penali, senza necessità di un'analitica motivazione per ogni singolo criterio di cui all'art. 133 c.p.