Il dolo generico, diretto o indiretto, costituisce l'elemento soggettivo del reato di truffa, essendo sufficiente che l'agente abbia coscienza e volontà degli elementi costitutivi del reato, quali l'inganno, il profitto e il danno, anche se previsti come conseguenze possibili e non certe della propria condotta, con conseguente assunzione del relativo rischio. L'accertamento della sussistenza del dolo non richiede la prova di una specifica finalità o di un particolare motivo che abbia spinto l'agente a realizzare l'inganno, essendo sufficiente che egli abbia agito con consapevolezza e volontà di porre in essere la condotta fraudolenta. Pertanto, il dolo può essere desunto dalla reiterazione di un medesimo modus operandi, dalla mancata costituzione delle società e dal mancato versamento delle somme promesse alle vittime, elementi che, unitamente alle concordanti dichiarazioni delle parti offese, consentono di ritenere provata la coscienza e volontà dell'imputato di realizzare le condotte truffaldine. L'onere probatorio a carico dell'imputato non si configura come un'inversione dell'onere della prova, ma come un mero onere di prova contraria, avendo egli ampia possibilità di dimostrare, in sconfessione di quanto emerso dagli atti, l'effettiva realizzazione degli investimenti e la costituzione delle società. Inoltre, il riconoscimento della circostanza attenuante del vizio parziale di mente richiede la prova di un disturbo psichico tale da incidere sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato al momento della commissione dei fatti, elemento che non risulta provato nel caso di specie, in assenza di elementi che dimostrino la sussistenza di tale vizio al momento della realizzazione delle condotte truffaldine.