Il rifiuto di atti d'ufficio da parte del pubblico ufficiale, ai fini della configurabilità del relativo reato di cui all'art. 328 c.p., richiede la consapevole volontà di negare l'adempimento di un dovere d'ufficio senza alcuna plausibile giustificazione, non essendo sufficiente il mero ritardo nell'evadere una richiesta, quando questo sia determinato da circostanze oggettive connesse alle peculiarità del pubblico ufficio ricoperto e all'assenza di dolo nell'agente. Pertanto, il semplice superamento del termine di trenta giorni per il riscontro di una istanza non integra automaticamente gli estremi del reato, essendo necessaria la prova della coscienza e volontà del pubblico ufficiale di violare i doveri del proprio ufficio, in assenza di ragionevoli motivi che possano giustificare il ritardo. La valutazione del giudice di merito in ordine all'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità, se non per manifesta illogicità o contraddittorietà.