Il provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, adottato ai sensi degli artt. 120 e 219 del Codice della Strada a seguito dell'applicazione di una misura di prevenzione personale nei confronti del titolare, non costituisce una sanzione accessoria alla pena inflitta per un reato, bensì la constatazione dell'insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti morali prescritti per il conseguimento e il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida. Pertanto, la posizione giuridica del privato va qualificata in termini di diritto soggettivo perfetto, con conseguente devoluzione della relativa controversia alla giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice amministrativo. Tale provvedimento, infatti, non è volto a tutelare l'interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale, bensì a limitare la libertà di circolazione e gli altri diritti costituzionalmente garantiti del privato, in ragione del venir meno dei requisiti morali richiesti per la titolarità della patente di guida. Il giudice amministrativo è pertanto privo di giurisdizione sulla controversia relativa all'impugnazione di tale provvedimento, in quanto la posizione giuridica del privato non si configura come interesse legittimo, ma come diritto soggettivo perfetto.