Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La capacità di intendere e di volere, quale presupposto dell'imputabilità penale, richiede che il disturbo psichico del soggetto agente abbia un nesso eziologico diretto con il fatto di reato commesso, determinando una situazione psichica incontrollabile ed ingestibile tale da rendere l'agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di indirizzarli e di percepire il disvalore del fatto. Il mero accertamento di una patologia psichica pregressa o coeva al reato non è sufficiente a escludere o diminuire l'imputabilità, essendo necessario dimostrare che tale disturbo abbia effettivamente inciso sulla capacità di autodeterminazione dell'agente al momento della condotta criminosa. Il giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti ed aggravanti è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il quale deve motivare la soluzione adottata in relazione all'adeguatezza della pena irrogata alla gravità del fatto e alla personalità del reo, senza dover analizzare in modo analitico tutti gli elementi favorevoli e sfavorevoli dedotti dalle parti.