Il tentativo di falso ideologico per induzione in errore del pubblico ufficiale non sussiste qualora il pubblico ufficiale non si sia determinato, in conseguenza delle false dichiarazioni rese dal privato, a porre in essere un atto idoneo e diretto in modo non equivoco all'emissione del provvedimento ideologicamente falso, in quanto solo gli atti del pubblico ufficiale conseguenti all'induzione in inganno possono integrare l'elemento oggettivo del tentativo di falso, mentre il mero inganno del privato può al più configurare un diverso autonomo reato. La Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto dall'imputata avverso la sentenza di condanna per tentativo di falso ideologico, in quanto la questione di diritto relativa al principio giurisprudenziale sopra enunciato non era stata tempestivamente rappresentata nei motivi di appello, in ossequio al disposto dell'art. 609, comma 2, c.p.p. che impone la necessaria e propedeutica proposizione delle questioni in sede di appello, prima che dinanzi alla Corte di legittimità. Inoltre, la Corte ha escluso la possibilità di una pronuncia di merito sulla base dell'art. 129 c.p.p., in assenza di un quadro probatorio e di censure articolate in modo tale da consentire una valutazione inequivoca della fattispecie astratta.