E' manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 201 cod. proc. pen. 1930, nella parte in cui prescrive il deposito dei motivi. Infatti, l'onere per l'impugnante di indicare, con i motivi, i capi della decisione che intende sottoporre all'esame del giudice del gravame e le ragioni delle doglianze che intende sollevare, "con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (v. art. 584, primo comma, lettera c, cod. proc. pen. 1988 che è comparabile con gli artt. 197 e 201 cod. proc. pen. 1930, è speculare e corrispettivo al dovere della motivazione che incombe al giudice (v. art. 474, primo comma, n. 4, cod. proc. pen. 1930 e 546, primo comma, lettera e, cod. proc. pen. 1988) e, lungi dal costituire una limitazione o un impedimento alla esplicazione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito in ogni stato e grado del procedimento, rappresenta l'unica forma idonea e valida affinché tale diritto possa, in concreto, realizzarsi. Il che vale a maggior ragione per il ricorso in cassazione, mezzo d'impugnazione proponibile soltanto per motivi tassativamente previsti dalla legge (art. 524 cod. proc. pen. 1930 e 606 cod. proc. pen. 1988).