Il giudice, nell'ambito del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all'art. 444 c.p.p., è tenuto a dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso la relativa sentenza, salvo che il ricorso non investa i motivi tassativamente previsti dall'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., ovvero l'espressione della volontà dell'imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l'erronea qualificazione giuridica del fatto e l'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Al di fuori di tali ipotesi, la Corte di Cassazione è tenuta a dichiarare l'inammissibilità del ricorso con procedura semplificata e non partecipata, in applicazione del disposto di cui all'art. 610, comma 5-bis, seconda parte, c.p.p., che prevale sulla diversa previsione di cui alla prima parte del medesimo comma, relativa alla trattazione in forma partecipata dei ricorsi che investono la motivazione del provvedimento impugnato. Tale disciplina, introdotta dalla L. n. 103 del 2017, si pone in rapporto di specialità rispetto alla precedente normativa, mirando a contenere il numero dei ricorsi per cassazione avverso le sentenze di applicazione della pena su richiesta, al fine di assicurare una più celere definizione del procedimento penale.