La rinuncia all'impugnazione, ritualmente presentata ai sensi dell'art. 589 comma 3 c.p.p., comporta l'inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 591 comma 1 lett. d) c.p.p., con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende. Tale principio trova applicazione quando gli imputati, pur avendo proposto ricorso avverso la sentenza di condanna, decidano successivamente di rinunciare all'impugnazione, determinando così la declaratoria di inammissibilità del gravame. La rinuncia al ricorso, quale manifestazione di volontà dell'imputato di non proseguire l'impugnazione, rappresenta una facoltà riconosciuta dall'ordinamento processuale penale, che produce l'effetto di precludere l'esame del merito del provvedimento impugnato e di imporre le conseguenze sanzionatorie previste dalla legge a carico del rinunciante. Il principio di diritto affermato mira a garantire l'efficienza e la celerità del processo penale, evitando che vengano sprecate risorse pubbliche per la trattazione di impugnazioni destinate all'inammissibilità per espressa volontà dell'imputato di non proseguire il gravame. La declaratoria di inammissibilità del ricorso per rinuncia, unitamente alla condanna alle spese e all'ulteriore sanzione pecuniaria, costituisce pertanto uno strumento volto a disincentivare l'utilizzo pretestuoso o dilatorio delle impugnazioni, assicurando il corretto e razionale svolgimento dell'attività giurisdizionale.